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ATTIVITÀ E PROGRAMMI REALIZZATI

Attività di studio e programmi terapeutici

ARTETERAPIA
La creatività è un momento integrante e assolutamente indispensabile del pensiero realistico, in quanto la corretta conoscenza della realtà non è possibile senza un certo elemento di immaginazione. L’attività creativa stimola, con l’immaginazione, la possibilità di nuove soluzioni di cambiamento, immaginazione che non rappresenta fuga dalla realtà, ma l’occasione sia di recepire ed esprimere il reale in forme e linguaggi differenti, sia di scoprirne gli aspetti molteplici.
(L.Vygotskij)

Le persone che hanno subito gravi lesioni cerebrali sono esposte a grosse modificazioni dell’immagine di sé e la vita quotidiana richiede loro un adattamento rispetto ai modi di vivere precedenti. Il ritorno a casa dalla riabilitazione spesso si traduce in un confronto squalificante fra ciò che la persona era e che ora non è più.

Per consentire una reintegrazione sociale del paziente è necessario facilitare e sostenere il suo processo d’integrazione e ridefinizione di sè, della sua unità psicofisiologica. Tale passaggio comporta un’autentica lotta per ristrutturare il proprio senso d’identità, e riaffermare la continuità della vita.

Il laboratorio di espressione e creatività, che si svolge negli spazi di Casa Dago, offre uno spazio protetto, per sperimentare ed entrare in contatto con il proprio processo d’individuazione, per riappropiarsi del vissuto di continuità e storia dell’Io. Uno spazio di transizione che consenta di modificare il proprio immaginario di paziente e riavviare un incontro vitale con la propria quotidianità.

Io chi?
La “rimessa in gioco” dell’identità

Laboratorio di espressione e creatività
nel contesto della riabilitazione di persone con esiti di TCE

.Manifestare la propria espressività significa sentimento, conoscenza e comunicazione, da sempre i principali veicoli di crescita e di sviluppo umano.

…….. frammenti scritti dai pazienti che hanno partecipato al Laboratorio e che hanno lasciato una traccia dell’esperienza:

“(…) questa esperienza mi ha fatto vincere quella timidezza che mi porto dietro da sempre e che ha rischiato di diventare un punto fermo della mia personalità, dopo quello che mi è successo. Sono pronta per affrontare la vita con una marcia in più che grazie all’arteterapia so di aver conquistato.”
Maria Isabella

“oggi 26 marzo 2006, ho fatto l’ultima volta il Laboratorio di Espressione e Creatività, venerdì torno a casa. Questa terapia per me è stata la più importante. (….) grazie a Massimo e Francesca sono riuscito ad andare senza nessuno che mi manteneva. (…) Secondo me è un’attività da farsi più di una volta a settimana.”
Luca

“(…) mi ha fatto capire che avere degli handicap non mi rende estranea agli occhi degli altri, anzi gli altri sono diversi da me perché io mi sento molto diversa da com’ero prima. (…) Mi ha aiutato a stare con gli altri, e ho capito che il lavoro di gruppo mi rende meno nervosa, perché nonostante tutto sono riuscita sempre a farlo!”
Paola

“(...) mi piace perché non usiamo solo il linguaggio delle parole (…) Con le mani oltre che salutare possiamo dire il nostro nome (…) e il nostro pensiero”
Tiziana

“(…) ho avuto modo di assistere al mio comportamento e al comportamento di altre persone davanti a stimoli,
a prescindere dallo stato mnemonico e dallo stato di apprendimento. Scegliere dei movimenti(…) stimola aree del cervello assopite”
Manuel

“(…) gli esercizi che abbiamo fatto ci hanno insegnato che si può comunicare anche attraverso il linguaggio del corpo(…) mi sento di poter dire che mi ha aiutato nei rapporti interpersonali(…)”
Paolo

In una patologia come il trauma cranio-encefalico che esita in deficit funzionali motori e cognitivi-comportamentali, e che “costringe” il paziente a destrutturare la propria identità pubblica e privata, è di primaria importanza trovare nuovi modi per proporsi a se stesso e alla società.

Il filo conduttore del lavoro, nel laboratorio di espressione e creatività proposto, è l’utilizzo del mezzo creativo per far emergere e recuperare le potenzialità individuali dei partecipanti.

L’elemento di forza è il gruppo, uno spazio che ogni volta si crea insieme, un luogo per riconoscere se stessi e gli altri, accrescere le capacità di comunicazione e di relazione, con l’intento di favorire la comprensione ed il rispetto delle reciproche diversità, senza traguardi da raggiungere, né modalità di classificazione secondo categorie di giudizio del tipo “giusto o sbagliato”.

L’impostazione di tutto il lavoro tiene conto della fase di recupero in cui, i pazienti ospiti di “Casa Dago” si trovano, una fase molto delicata, di passaggio tra la struttura ospedaliera e “il ritorno a casa”, un passaggio che a nostro avviso, necessita di una ristrutturazione del proprio senso d’identità, un ri-conoscersi.
Il ritorno a casa fa paura a tutti, è un passo difficile; riprendere la vita di tutti i giorni quando non si è uguali a prima, diventa un confronto squalificante fra ciò che si era e che ora non si è più.

L’intento è proprio quello di creare le possibilità per entrare in contatto con il proprio processo d’individuazione, di creare uno spazio di transizione dove modificare il proprio immaginario di paziente e rivolgersi alla propria persona per riavviare un incontro vitale con la propria quotidianità.

Il laboratorio prevede un incontro settimanale di due ore ciascuno; intende, inizialmente, creare dei momenti d’incontro strutturati intorno ad un’attività comune; lo spazio via via si trasforma in un luogo di libera espressione dove mostrarsi senza essere giudicati, sperimentando ogni volta la libertà di riconoscere e integrare i propri limiti.

La partecipazione è resa spontanea, l’invito personalizzato; tale modalità è stata adottata secondo una scelta precisa: restituire ad ognuno la possibilità di un’autonomia decisionale di adesione e partecipazione avviando una scelta, possibilità questa, che nei nostri pazienti è sovente silente.

Credo profondamente che il fine ultimo della riabilitazione debba essere quello di condurre il paziente ad affrontare la vita con nuovi obiettivi, con maggiori capacità nella gestione delle proprie risorse e possibilità, con una maggiore forza per combattere l’apatia che lo affligge.

Per l’organizzazione di Casa Dago, che prevede un turn-over dei pazienti, non si è configurata la possibilità di formare un gruppo stabile, ogni singolo incontro diventa unico; nello specifico ogni volta si evidenzia la necessità per noi conduttori di “accordarci” con la predisposizione dei partecipanti in quello specifico momento, ponendo attenzione agli aspetti individuali e collettivi, creando così uno sfondo comune entro il quale introdurre gli elementi del lavoro.
L’atteggiamento di malattia, talvolta riduce notevolmente il ricorso ad abilità che seppur esistenti non possono essere utilizzate dalla persona che non è convinta di possederle.

Nella mia esperienza di riabilitatrice delle funzioni cognitive ho spesso avuto modo di osservare come i pazienti, durante l’iter riabilitativo, stiano in una condizione di attesa di cambiamenti (faccio le terapie per tornare come prima..) che devono avvenire “da fuori” attraverso le cosiddette “terapie”, il loro coinvolgimento personale è scarso, l’attenzione è concentrata sul disturbo (non cammino, non ricordo… ), la nostra proposta va nella direzione opposta, ponendo al centro dell’interesse la persona umana nella totalità dei suoi molteplici aspetti, in un’ottica di esperirsi nel qui ed ora, di esperire una presenza a se stessi.

Ciò concorre a creare una nuova dimensione all’interno della quale i “deficit” perdono via via la loro importanza per dare spazio all’emergere del vissuto di ognuno.

Fin dal primo incontro si è accolta l’esigenza di uno spazio per la verbalizzazione di vissuti, curiosità ed emozioni, senza approfondire tematiche personali lontane dal momento e dallo spazio contingenti. Questa condizione esalta l’importanza concreta del qui e ora, struttura portante del lavoro.

L’adesione al laboratorio è molto alta, ritengo essere questo il primo risultato raggiunto; durante ogni incontro si è sempre creato un clima di gioco che ha permesso un vissuto di leggerezza, una grande disponibilità verso la nuova esperienza, un crescente interesse e curiosità.
Il denominatore comune a tutti gli incontri è sempre, nella proposta degli esercizi, quel sottile gioco che esiste tra l’immaginazione e la percezione, nel farsi della realtà.

Francesca Amadori
Responsabile del progetto e conduttrice del Laboratorio

Francesca Amadori,
Logopedista, coordinatrice responsabile del Servizio di Terapia Cognitiva della Fondazione Santa Lucia di Roma, si occupa da molti anni di Riabilitazione Neuropsicologica della sindrome post-comatosa. Organizza congressi e giornate di studio su temi diversi legati alla Riabilitazione. E’ Tutor del tirocinio guidato per studenti del corso di Laurea di I° livello in Logopedia dell’Università di Tor Vergata di Roma
Arteterapista ad orientamento Psicofisiologico Integrato.
Da diversi anni persegue una ricerca attraverso linguaggi artistici come il teatro, il movimento espressivo e la danza, partecipando a stages intensivi e corsi; una ricerca che, a partire dall’uso del corpo, porta alla conoscenza e alla sua condivisione in una forma artistica.
Laurea di I° livello in Logopedia conseguita presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Diploma di Master in “Artiterapie ad orientamento psicofisiologico” conseguito presso la Scuola triennale di Artiterapie in Roma, diretta dal Prof. Vezio Ruggieri (docente della cattedra di Psicofisiologia Clinica, Università La Sapienza, Roma).


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