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TESTIMONIANZA DI ALCUNI VOLONTARI

GIOVANNA

La mia esperienza come volontaria a “Casa Dago” è iniziata  nel 2009.

Avevo già fatto  volontariato, ma in altri settori e non ero però, mai entrata in contatto prima di allora con i problemi del post-coma.

Per me è stato un mondo tutto da scoprire e da capire.

Inizialmente sono stata molto a guardare, cercando di capire quale fosse il mio ruolo e  il modo migliore per rendermi utile.

Piano piano ho trovato le mie sicurezze.

Capire quale cambiamento produce il coma nella vita di una persona , fa capire quali sforzi e sacrifici si debbano fare per ricominciare la “nuova vita”. Capito questo, anche il mio ruolo mi è stato più chiaro:  prenderli un po’ per mano e fare  un pezzettino di strada insieme.

Ho conosciuto molte persone in questi anni con problemi differenti, storie differenti, età differeni, persone che hanno frequentato poco “Casa Dago” e altre che  sono qui da molto tempo. Con ognuno è diverso ma con tutti è un arricchimento reciproco;  è coinvolgente.

Nel laboratorio di cucina, quello di cui  mi occupo, facciamo ogni volta piatti diversi, che poi con gran piacere assaggiamo, imparando a seguire una ricetta. Può sembrare banale ma provate a dividere l'albume dal rosso di un uovo o tagliare o affettare qualcosa potendo usare una sola mano...non è facile ma insieme ci inventiamo un modo per farlo.

L'esperienza a Casa Dago è indubbiamente molto bella. Spero di aver lasciato e di lasciare in futuro qualcosa alle persone che ho incontrato ma sono sicura già da ora  della ricchezza che loro hanno dato a me.


ANTONIO

‎Mi chiamo Antonio e ho 41 anni.

Nel 2007 ho avuto un incidente stradale, per cui sono stato curato al Santa Lucia. In quel periodo dunque, ho conosciuto Casa Dago. 

L'ho conosciuta in questo modo: io avevo bisogno di riprendere confidenza con l'automobile, e venimmo a sapere che a Casa Dago‎ si poteva fare qualche lezione di guida con istruttore e macchina a doppi pedali. E infatti...così andò. E ci costò pochissimo o niente: non ricordo quanto, ma mi ricordo che mi colpì la gratuità di tutto ciò. 

E quindi, da quando sono stato in grado di muovermi da solo - era il 2008 - ho deciso di fare volontariato anche io. Proprio perché era bello cercare di restituire - al mondo - quanto io ho avuto - in termini di aiuto, comprensione, incoraggiamento - dal mondo.
 
E poi, mi sembrava che il mio volontariato potesse essere efficace perché - mi sono detto - "io so che vuol dire essere stato in coma" e quindi so come si sentono loro, e anche - assai poco modestame, purtroppo - "io adesso tutto sommato sto bene, e quindi posso dare‎ speranza in chi, oggi, rischia di perderla". 

Così ho cominciato, e - sempre a Casa Dago - non ho mai smesso. E mai smetterò. 


STEFANIA

Mi chiamo Stefania, ho 39 anni, sono sposata con due figli, e faccio parte come volontaria dell’Associazione A.R.CO.92 dallo scorso ottobre.
Per me non è stata la prima volta, visto che ho svolto il volontariato ospedaliero presso un gruppo della Croce Rossa Italiana, ma nonostante questo, l’esperienza iniziata al Reparto C1 è stato un modo diverso per conoscere dolore e malattia, scoprendo una realtà e un mondo a me completamente sconosciuti.
In questo reparto sono ricoverati pazienti “tornati” alla vita dopo il tunnel del “coma” (lungo o breve che sia stato), dopo quindi una situazione drammatica, dopo un’esperienza non descrivibile, e questo non solo per il paziente stesso, ma per tutta la sua famiglia che ne rimane inevitabilmente travolta.
I familiari devono così iniziare un nuovo cammino spesso difficile da accettare, completamente diverso da quello che si viveva sino al giorno prima. Dovranno spesso fare i conti con il temperamento a volte aggressivo, a volte depresso del loro familiare; dovranno imparare a gestire un paziente notevolmente compromesso, dovranno riorganizzare la loro vita, i loro ruoli; si troveranno, a volte, nella necessità di trovarsi un alloggio (per chi qui non è residente) per poter assistere il loro caro, dovranno fare i conti con qualcosa su cui nessuno potrà dare certezze.
Qui il ruolo della volontaria secondo la mia esperienza può essere importante e necessario;il volontario, a mio parere, rappresenta una figura diciamo così ”imparziale”, cioè non è un medico, non è un infermiere, non è un membro dell’ospedale: è invece una persona qualsiasi, semplice, che viene dalla strada, una persona motivata e sensibile.
Fa la sua entrata in scena con delicatezza, con tatto, quasi in punta di piedi, ma decisa e sicura nel far sentire la propria presenza.
Io spesso parlo con i familiari, ascolto le loro storie, le loro vicende drammatiche, le loro difficoltà a volte anche economiche nell’affrontare un lungo periodo di malattia, difficoltà anche nel vivere lontano dalla propria casa, e magari dagli altri membri della famiglia.
Allora ecco che secondo la mia esperienza occorre portare una ventata di allegria,sorrisi, disponibilità, conforto. Spesso gioco a carte con loro, e passeggio nel parco con chi ne ha la possibilità, racconto le mie giornate, le mie abitudini e, per quanto mi sia possibile, cerco di fare del tutto per tenere lontano il pensiero della malattia per qualche ora.
Quando esco dal Reparto per poi tornare a casa, rifletto su ciò che ho visto, che ho vissuto, e stranamente, in quel luogo dove vedo giovani e meno giovani gravemente malati, mi sento diversa, arricchita di un qualcosa che non si può quantificare, soddisfatta del tempo dedicato a loro, e per quanto non abbia fatto assolutamente niente di concreto per poter migliorare il loro stato fisico, capisco quanto sia forte la loro voglia di vivere, di combattere, di andare avanti, cosa che spesso noi persone “sane”, chiuse nei nostri egoismi e nei nostri ritmi di vita di persone normali ,perdiamo di vista.



ANONIMO

Faccio parte di questa Associazione da sei anni.
La mia è stata una scelta molto ponderata, dettata dal desiderio di aiutare le persone che si trovano ad affrontare una nuova realtà di vita così drammatica.
Ritengo il volontariato un gesto di solidarietà e di sostegno ”voluto” con un preciso atto di volontà, che può nascere sia da un sentimento umano, che da una motivazione religiosa verso i più deboli, laddove molto spesso manca l’aiuto delle strutture pubbliche.
Personalmente mi sono avvicinata al volontariato dopo la perdita di una persona cara: ho cercato di trasformare questo dolore in un'occasione per dare amore.
Ho imparato ad avvicinarmi al malato con discrezione, rispetto e umanità; ho sperimentato l’importanza di riuscire a creare anche un solo attimo di gioia per chi è afflitto. Assistere chi soffre mi ha aiutato a riflettere sui limiti e sulla precarietà della vita terrena; mi ha fatto crescere interiormente.
Chi si trova nel dolore è come una spugna capace di assorbire qualsiasi situazione gli venga trasmessa; quindi è molto importante che chi si avvicina a questi pazienti trasmetta loro serenità infonda loro fiducia, si ponga loro con umiltà, e usi sempre la discrezione.
Ci si accorge della loro gratitudine da un sorriso, da una stretta di mano prolungata, da uno sguardo lucido.
Particolare attenzione va riservata alle famiglia dell’ammalato, che molto spesso si ammalano insieme al proprio caro, e che hanno bisogno di sostegno globale. Queste sono spesso costrette a dividersi per i lunghi tempi della malattia, con gravi disagi provocati dal fattore economico, dalla lontananza dalle proprie città, dal lavoro, dallo studio ,ecc., ma che allo stesso tempo devono essere in grado di aiutare l’ammalato con quela serenità che infllluirà positivamente nel recupero.
Molto spesso, ho notato che i malesseri di tanti pazienti sono accentuati dai problemi familiari; quindi ritengo importantissimo il supporto alle famiglie.
Io ho ancora contatti telefonici ed epistolari con alcune famiglie nonostante le dimissioni dell’ammalato siano avvenute diversi anni orsono; questo, insieme ad altri, è un motivo per cui dopo sei anni sono ancora una componente dell’Associazione A.R.CO.92.

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